Sei sul sentiero del risveglio spirituale? Ami la meditazione?
Vuoi vedere un bellissimo film sulla vita di un maestro illuminato, i cui insegnamenti sono attuali più che mai?
Eccolo servito, gratis su YouTube! Buona visione!
“Zen, the life of Master Dogen”
In lingua originale giapponese sottotitolato in italiano (non è stato doppiato).
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Il film
Ho rivisto ieri sera questo bellissimo film, e devo dire che ogni volta che lo rivedo diventa sempre più bello. Prodotto in Giappone con la regia di Banmei Takahashi, il film ha un’ambientazione tipicamente giapponese e attori giapponesi. Uscito nelle sale cinematografiche nel 2006, non ha avuto successo di pubblico, come è prevedibile, visto che si tratta di un film di nicchia, anzi, di super-nicchia. Un capolavoro nel suo genere che pochi possono apprezzare e comprendere. Il mio voto a questo film è “cinque stelline”. Il regista non poteva fare di meglio, e così gli attori. Innanzitutto, l’atmosfera meditativa è resa benissimo, dall’inizio alla fine del film, senza sbavature. Gli ambienti, dal villaggio alla natura, al monastero zen, sono quelli del Giappone del XIII secolo ricostruiti magistralmente, così che possiamo anche noi spettatori entrare a far parte della storia, meditare vedendo il film, assorbirne lo spirito. La colonna sonora accompagna dolcemente, sottolineando i momenti più intensi, o aprendo spazi di puro silenzio.
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Eihei Dogen
Il film narra la vita di Eihei Dogen (1200 d.C.- 1253). Egli fin da piccolo fu introdotto al percorso spirituale dalla madre, la quale gli trasmise l’unico scopo della vita: trovare la via per uscire dalla sofferenza e così influire positivamente su tutti gli esseri viventi. Ancor giovanissimo, si mise in cammino per perseguire tale obiettivo, sulle orme degli insegnamenti del Buddha. Ordinato monaco buddhista, non contento di come il buddhismo veniva praticato nei monasteri giapponesi, si mise in viaggio alla ricerca di un maestro, del suo maestro. Fu così che si spostò in Cina, dove incontrò a più riprese un vecchio monaco cuoco, le cui parole lo toccarono profondamente per la semplicità e la profondità, e poi passò in un monastero dove avvenne l’incontro col Maestro Ju Ching, nel quale riconobbe colui che stava cercando. Dogen decise allora di rimanere alcuni anni sotto la sua direzione, addentrandosi nella pratica della meditazione zen, fino a conseguire il Satori. Ju Ching lo investì del grado di suo successore, ma Dogen sentì che era per lui il momento di tornare in Giappone, e divulgare nella sua terra ciò che aveva conseguito: il vero Dharma, la via dell’illuminazione in cui la pratica si connette alla vita semplice, all’ordinarietà. Così fece, fondando inizialmente un monastero con pochi seguaci, che poi crebbero di numero, suscitando le invidie e la disapprovazione di monasteri limitrofi, ossequiosi del buddhismo ortodosso, un insieme di dottrine osservate a livello formale, ormai prive dello spirito originario del Buddha. Fu così che Dogen e i suoi, dopo aver subito un saccheggio e aver visto incendiato il monastero, si spostarono in un luogo più raccolto, in montagna, messo a disposizione da un devoto che era anche un generale dell’esercito presso lo Shogun locale. Fu lì che Dogen ultimò i suoi scritti e lasciò disposizioni per preparare la successione dopo che avrebbe lasciato il corpo. Degno di nota è uno degli ultimi episodi della sua vita, l’incontro con il giovane Shogun Tokiyori, che era tormentato da visioni angosciose dopo una cruenta battaglia. Dogen, sapendo di rischiare la vita con le risposte che gli diede, gli mostrò l’origine interiore del suo disagio, ribadendo che mai avrebbe potuto regnare in pace, se quella pace non l’aveva dentro se stesso. Il giovane guerriero, dopo aver reagito alle parole di Dogen, minacciandolo di tagliargli la testa per aver osato redarguirlo, vedendo poi la calma del Maestro nel sedersi in zazen mentre era sotto tiro di spada, si sedette con lui in meditazione, deponendo l’arma.
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Perle: insegnamenti contenuti nel film
Scegliere il proprio Maestro
Quella tra Maestro e discepolo è una grande storia d’amore. Mettersi in cammino alla ricerca del maestro è avere già chiare dentro di sé le priorità. E’ rispondere alla chiamata del Maestro Interiore, che sta cercando lo specchio esteriore appropriato per emergere e prendere il timone della tua vita. Non tutti i Maestri nel mondo sono uguali, ognuno ha la sua energia e il suo stile. Se la ricerca del Maestro è genuina, Egli non tarda a manifestarsi e la relazione sarà chiara, permettendo alla via di aprirsi mentre la si percorre. Ciò avviene anche attraverso la trasmissione diretta da Maestro a discepolo, rappresentata nel film nel momento di unione energetica tra Dogen e Ju Ching. “E’ straordinario” esclamò Ju Ching “hai completato la trasmissione faccia a faccia da maestro a discepolo, la trasmissione del Dharma.”
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L’invito, il passaparola
Dopo aver incontrato tanti monaci eruditi, che null’altro potevano offrirgli se non insegnamenti dogmatici, privi dell’autentico spirito del Buddha, Dogen accoglie l’invito dell’amico a recarsi da Ju Ching. C’è tanto in comune con ciò che sicuramente molti di noi hanno vissuto: non trovi ciò che fa per te, e dopo averne provate tante, un bel giorno lungo la via un amico ti parla di qualcosa di vero, di qualcosa che lui ha incontrato e da cui è stato trasformato; ti lancia un invito, così, semplicemente, senza troppe parole. E tu accogli.
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C’è una sola via: quella della meditazione
Il Maestro Ju Ching già dalle prime battute si rivela diverso dai monaci buddhisti delle varie sette che Dogen conosceva. Ecco come lo accoglie: “La pratica dello Zen consiste nell’abbandonare il corpo e la mente, questa è la via. Per sfuggire all’ignoranza, al vizio, non ci sono una seconda o una terza via diverse dallo zen. Solo sedere in meditazione.” Può sembrare un’asserzione scontata, invece non lo è. Il Maestro intende dire che non ci sono scorciatoie per liberarsi. C’è un’unica via, quella della meditazione. Senza di essa, ogni sforzo è vano. Quanto sono attuali queste parole! Oggigiorno sono in molti a volere “tutto e subito”, a pretendere di conseguire qualcosa di significativo per se stessi in tempi veloci e rimanendo nella propria zona confort, come se avere a che fare col Sé equivalesse a fare zapping col telefonino! Si è assuefatti ai surrogati del reale, a strategie complicate che impigriscono l’energia vitale e la depauperano, così che un atto semplice e al tempo stesso forte come sedere in meditazione appare privo di senso. La mente lo giudica inutile. Vorrebbe altro, vorrebbe cavarsela in fretta, trattando la questione della ricerca del Sé con la stessa superficialità con cui tratta tutto il resto. Dal film emerge che anche i contemporanei di Dogen erano caduti nella solita trappola, in cui cadono tutti coloro che scambiano la ricerca del Sé con l’essere seguaci di una religione, il professare un credo (sia esso cristiano, buddhista o altro), senza addentrarsi nell’osservazione di sé, quindi senza presenza. Dogen non si accontentò di praticare la via del Buddha in modo formale. Dopo aver conseguito il risveglio, egli ribadì più e più volte che tra il sedersi in meditazione e l’illuminazione non vi è separazione. Sedere in meditazione è parte dell’illuminazione.
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Zen Sutra
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Illuminazione e pratica: entrambe infinite
Ecco il dialogo tra il Maestro Ju Ching e Dogen dopo che egli si era illuminato.
“Hai raggiunto il Satori”
“Sì”
“La mente e il corpo scompaiono. Scompaiono la mente e il corpo. Scompaiono, scompaiono. Dogen, ora dimentica anche di aver raggiunto il Satori. Così come il Satori è infinito, anche la pratica lo è. Il Satori e la pratica sono intimamente connessi”
Dopo il risveglio si continua a praticare. Così ci si accompagna nell’inoltrarsi nell’infinito che si dischiude. Ed esso d’altro canto mostra la pratica in ogni cosa. Emergono nuovi modi di praticare, svolgendo la propria vita. Praticare serve a imparare a vivere nell’Uno che si è rivelato. Serve a connettere mente e Sé, così che essa possa servirlo nella sua espansione e realizzazione senza fine.
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Il Vero è di per sé evidente
Le parole del cuoco illuminato: “Il Buddhismo è sempre stato apparenza. Tutto ciò che accade in questo mondo è sempre stato così. Nessuno ha alcunché da nascondere.”
Cosa vuol dire? Le religioni, le scuole, gli -ismi, non sono il Reale, né possono esserlo. Nel loro essere pura formalità, non nascondono nulla intenzionalmente. Siamo noi che non abbiamo occhi per vedere. Quando i nostri occhi acquistano capacità di vedere, allora tutto diventa chiaro. Non c’è nessun segreto. Niente è difficile. Il Reale è di per sé evidente. E’ lì per chi vuol vederlo.
“Occhi orizzontali, naso verticale” dice Dogen. Puro zen. Sono parole che non necessitano di nient’altro, non devono essere spiegate. E non devono neanche essere capite, perché non c’è niente da capire. Possono essere recepite solo da chi è diventato ricettivo, sveglio, presente e ha occhi per vedere. Allora arrivano al cuore.
“I fiori in primavera
I cuculi in estate
La luna in autunno
e le fresche nevicate d’inverno
Le cose sono così come sono. Vedere le cose così come sono davvero, questa è l’illuminazione.”
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Ordinarietà è meditazione
“Questa è la più perfetta forma della miglior pratica possibile” così Dogen definisce il lavoro di raccolta delle erbe selvatiche, rispondendo ad un discepolo che si offre di fare il lavoro al posto suo, ritenendo che non fosse un’attività degna della levatura del Maestro.
“Lo zazen di cui parlo non è una pratica di meditazione per apprendere, è la porta del Dharma che conduce alla pace e alla beatitudine, la realizzazione pratica dell’illuminazione assoluta”
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Scegliere
Se pratichiamo correttamente e con dedizione, viene un momento in cui emergono i demoni interiori, le cariche energetiche di tutto il male che abbiamo fatto a noi stessi e agli altri. La tentazione di mollare tutto o di lasciarsi sopraffare in quei momenti sale, ed è bene che venga fuori. Ecco cosa risponde Dogen alla discepola Orin
“Buddha è dentro di te. Ma vedi, non è così facile trovare Buddha. Ogni essere umano vuole questo e quello, e brama tutto ciò che non può raggiungere. Quando non possiamo avere ciò che desideriamo, ci arrabbiamo e ci comportiamo come pazzi. Non riusciamo a trovare Buddha perché siamo accecati da queste preoccupazioni. Per questo allora ci sediamo. restiamo seduti ancora e ancora, finché quella benda cade da sola. Facendo così tu riuscirai a vedere Buddha che è in te. Uccidendo te stessa, tu uccidi Buddha. E dipendendo dagli altri, neghi il Buddha che è in te.”
Nessuno ha mai sconfitto i propri mostri interiori lottando né tantomeno analizzando con la mente. L’osservazione è la sola via. E l’osservazione cresce meditando, perché stando semplicemente lì, si diventa testimoni. Allora i mostri si dissolvono da soli. La benda che ci acceca e non ci fa scorgere la vera natura cade da sola.
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“Distaccatevi completamente dalla vita normale. Abbandonate tutto ciò a cui siete attaccati. Abbandonate ogni pensiero su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, così come la riflessione e l’idea dell’illuminazione stessa. Abbandonate ogni intenzione e ogni pensiero. Questo è conosciuto come stato dell’assenza di pensiero. Non sediamo in zazen con lo scopo di raggiungere l’illuminazione. Sedere in meditazione, nient’altro. Questa stessa è l’illuminazione.”
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Il Maestro
Dalla massa, alcuni si mettono in cammino verso il risveglio. Tra essi, pochi arrivano al risveglio. E tra questi, pochissimi diventano Maestri a loro volta. Il vero Maestro è colui che si mette a servizio degli altri con ciò che ha conseguito, con fermezza e amore. Rimane se stesso, rimane integro. Non scende a compromessi. Così, continua nel suo percorso evolutivo, sviluppando la saggezza. Nell’ultima parte del film, Dogen è chiamato da Tokiyori, il reggente dello shogunato locale, ovvero un giovane uomo a capo di quello che era un feudo (medioevo giapponese). Costui era afflitto da angosce e fantasmi e voleva che Dogen lo liberasse. Dogen allora gli mostra la vera natura di Buddha coinvolgendolo nell’osservare la luna piena in giardino. Non gli fornisce l’ennesimo insegnamento, ma gli mostra il Sé esperienzialmente, in modo semplice e diretto, continuando a tenere viva l’esperienza e portandola in profondità momento per momento, grazie alle obiezioni di Tokiyori, alle quali Dogen risponde non fornendo risposte, ma guidandolo a trovare le sue. E’ ciò che fa un vero Maestro. Ed è così che chi lo interpella può iniziare a camminare con le proprie gambe, non salendo sulla schiena di chi ha già camminato.
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Vera Natura e Sé
La metafora usata da Dogen per indicare a Tokiyori la vera natura o Buddhità ci aiuta a comprendere meglio cos’è la Vera Natura e cos’è il Sé. Talvolta vengono intesi come sinonimi. La distinzione si rivela utile soprattutto a chi si è già illuminato, e sta approfondendo gli aspetti di Sé alla luce della piena consapevolezza.
La Natura autentica è come la Luna piena: pura, incorrotta, perfetta, compiuta. L’innata natura del Buddha. E’ unica. E’ indivisibile e incorruttibile. Momentaneamente può essere fuori dalla nostra percezione a causa dei pensieri, ma ciò non significa che essa viene meno. C’è sempre.
Il vero Sé è ovunque. Non può essere forgiato. E’ come l’acqua. Riflette ciò che è. Quando c’è la vera natura, la riflette. Quando ci sono pensieri, li riflette.
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“La luna non può essere bagnata
e l’acqua non può essere forgiata.
La luna è l’innata natura di Buddha e l’acqua è il Sé”
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Sono simboli che meglio chiariscono il rapporto dinamico tra Energia e Consapevolezza.
Come il Sé riflette, anche il Maestro riflette. Si limita a riflettere chi sei. Non interferisce. Semplicemente riflette come uno specchio limpido e puro. Così continua Dogen anche quando Tokiyori infuriato sta per tagliargli la testa. Dogen tranquillo si siede in meditazione. Il giovane guerriero allora getta a terra la spada. Dogen gli riflette la sua Buddhità, e lui coglie.
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Liberarsi
“Studiare la via è studiare se stessi. Studiare se stessi è dimenticare se stessi. Dimenticare se stessi è essere illuminati da ogni cosa. Essere illuminati da ogni cosa è liberarsi. Liberare il proprio corpo e la propria mente è liberare il corpo e la mente degli altri”
La via è chiedersi “Chi sono io?” Ricorderai chi sei lasciando andare “io”. E quando avrai ricordato, solo allora sarai implicito a te stesso, contenuto in ogni cosa e contenente ogni cosa. Senza più separazione, ti senti libero. Allora implicitamente e senza volerlo contribuirai a liberare gli altri, che per te non sono più “altri”, ma sono riflessi del Sé.
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di Renata Rosa Dwija Ughini
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