E’ la solitudine sempre un fenomeno negativo?
O può essere qualcosa di appagante?
Cos’è che fa la differenza?
Perché abbiamo così paura della solitudine?
E perché ne siamo anche così attratti?
Cosa si cela dietro l’aspetto triste e minaccioso della solitudine?
Ha la solitudine un dono per noi? E quale?
Esploriamo insieme questo tema e le sue implicazioni nelle relazioni.
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1. La dimensione positiva dello stare con se stessi
È bello stare con se stessi. Specialmente quando abbiamo voglia di vivere il nostro spazio e ce lo concediamo: ci diamo la possibilità e il tempo per poterlo fare. In alcuni casi ciò si manifesta stando quieti in casa, in altre facendo una passeggiata in natura. È una dimensione di nutrimento che ricarica, che permette alla propria spontanea naturalezza di emergere così come vuole essere, senza doversi conformare a qualcuno o a qualche impegno che la vita porta. Ciò non significa scappare dal mondo o dagli altri; è piuttosto la celebrazione della propria solitudine nel senso più positivo del termine, cioè uno spazio in cui non ci manca niente perché siamo a contatto con noi stessi. L’emersione della nostra naturalezza è di per sé ciò che ci appaga e ciò che cerchiamo.
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2. Quello che la solitudine fa emergere
È altrettanto vero che rimanendo a contatto con se stessi sufficientemente a lungo, cioè stando nella propria solitudine, emergono sensazioni, emozioni e pensieri che provocano turbamento, rabbia, disappunto, irrequietezza, ecc…
In verità sono poche le persone che si concedono di sentire tutto ciò, in grado di sostenerlo con la propria presenza e di discernere consciamente i contenuti della propria esperienza. Anche questi ingredienti sono parte della nostra solitudine. Emergono a sorpresa, così come emergono stati d’animo che sono piacevoli. La tendenza umana è però polarizzata su questi ultimi, mentre si evita o si fa fatica ad avere a che fare con i primi.
Ciò è principalmente dovuto ad una mancanza di riconoscimento della propria identità essenziale, del proprio sé. Venendo a mancare la componente più importante che è la base ed il campo della nostra esperienza, cioè la consapevolezza di sé, si è sopraffatti dai turbamenti emotivi e da pensieri distruttivi, che altrimenti potrebbero semplicemente passare attraverso di noi come nuvole nel cielo.
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3. La relazione come evasione
Questo mancato riconoscimento di sé in primis, e l’incapacità di contenere e comprendere la propria esperienza, spinge l’individuo a cercare fuori quello che non trova dentro di sé. Perciò si rivolge ai suoi simili. Cerca, attraverso la relazione, di evadere la sua esperienza interiore proiettando la sua energia sulla persona che in quel momento entra nella sua vita. Come è chiaro, non sta andando verso l’altro per condividere qualcosa, ma per smettere di avere certi pensieri e sentimenti. È in disperato bisogno di un’ancora, di un punto fermo che gli consenta di riprendere fiato, di avere sollievo da qualcosa che non riesce a sostenere per conto suo. Purtroppo non ha intenzione di scoprire chi è attraverso l’altro, non vuole trovare uno specchio fedele della sua condizione, ma vuole essere sollevato da essa.
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4. Strategie di aggancio
Per poter fare ciò ha bisogno di agganciarsi all’energia dell’altra persona, perciò individua inconsciamente quello che nell’altro è un varco, un’apertura a cui potersi agganciare. L’altro acconsente, così entrambi stipulano un silenzioso accordo di reciproca compensazione. In questa situazione hanno la sensazione di rompere il rispettivo isolamento, almeno temporaneamente. Siano essi parenti, amici o qualcuno che si sceglie come partner, essi diventano coloro che garantiscono un senso di falsa sicurezza dalle turbe emotive.
Ciò da l’illusione di relazionarsi. La maggioranza delle relazioni viene fraintesa in questo modo. Ognuno cerca un appiglio a cui aggrapparsi per poter sopravvivere emotivamente ed evitare il disagio della solitudine.
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5. Origini remote
Il mancato riconoscimento del sé essenziale risale all’infanzia: in quella fase della vita dovrebbero essere i genitori a riflettere al bambino la sua reale identità. Ma avviene che questi, per mancanza di contatto con la propria vera natura, riflettano al bambino ciò che essi stessi sono, cioè esseri condizionati dal proprio passato. Così il bambino cresce cercando negli altri quello che non è mai riuscito a trovare attraverso i genitori.
Questa ricerca si protrae per tutta la vita, a meno che non si inverta la rotta dirigendosi verso di sé e confrontando ciò che più si teme, cioè il buco interiore dal quale deriva la paura della solitudine e il conseguente impulso ad evaderla, rivolgendosi all’esterno.
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6. La compensazione
La relazione così come viene comunemente intesa, è in effetti uno stratagemma di evasione da sé. Le persone sono attirate l’uno all’altra dalle proprie paure e mancanze. Il bisogno di compensare è così diffuso che viene considerato normale agganciarsi ad un’altra persona. Ma ciò ha delle implicazioni: essendo una relazione basata sulla compensazione, questa finisce ovviamente per risultare inappagante. Per quanto l’altro si sforzi di compiacerci e viceversa, non sarà mai sufficiente a colmare il vuoto esistenziale da cui si è afflitti. Il vuoto percepito al posto del proprio essere continua a riaffacciarsi in un modo distinto:la paura della solitudine. Se non la si confronta sorge il biasimo nei confronti dell’altro, per non aver soddisfatto la nostra aspettativa, cioè per non essere stato in grado di comprenderci e vederci.
Si ha costantemente bisogno di qualcosa che manca e ce lo si aspetta dall’altro. Ma non è nella natura delle cose che l’altro ci dia quello che non può darci, che non ha per sé, così come noi non siamo in grado di farlo a nostra volta.
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7. Il gioco si fa in due
A meno che la relazione non sia libera da legami, non può diventare un’opportunità per condividere in amore.
Che cosa si intende per “legame”? È il contratto emotivo che viene stipulato con quelle persone che accettano il nostro gioco, che acconsentono di diventare nostri complici nel cercare di sopperire alla mancanza reciproca.
Ciò avviene in ogni tipo di relazione, dalla più superficiale alla più intima. Queste ultime sono quelle che ci creano più problemi, perché sono quelle con cui stabiliamo dei contratti che durano nel tempo e che coinvolgono le sfere emotive più profonde, quelle da cui ci aspettiamo di più.
Se la commessa del negozio in cui andiamo di solito a fare la spesa non è amichevole o gentile, si può facilmente cambiare negozio o stringere i denti per il breve periodo in cui si ha un qualche tipo di contatto con lei. Le convenzioni formali servono proprio a questo, ad evitare di entrare nel personale o di contattare ciò che di reale sta avvenendo.
Ma quando si torna a casa dal proprio partner o si sta con la famiglia o si va al lavoro, ciò diventa difficilmente evitabile. Se le cose non vanno come ci aspettiamo, attiviamo delle dinamiche conflittuali, sappiamo che l’altro vi parteciperà, è parte degli accordi inconsci stipulati per stare insieme. Oppure ci affidiamo a delle convenzioni sociali più solide e spesse, che sono i condizionamenti morali, le gerarchie di potere, l’esibizione della propria maschera sociale. Le relazioni diventano così un confronto tra tipi diversi di personalità, che altri non è se non un costrutto per potersi relazionare in base a dei modelli sociali.
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8. L’illusione di relazionarsi
Perciò quella che viene comunemente chiamata “relazione” non è reale condivisione; non si incontra la persona reale che sta dietro la maschera. Di conseguenza, il senso di solitudine cresce smisuratamente, anche se non viene riconosciuto come tale. Camminiamo tutti i giorni fra una moltitudine di persone che raramente incontriamo veramente. Di fatto un incontro reale è tanto accidentale quanto fortuito. E siccome non siamo avvezzi al sapore di un reale incontro, si tende a non riconoscerlo come tale. Di solito valutiamo come reale e degno di nota un incontro quando siamo emotivamente stimolati, cioè quando la nostra personalità viene attivata. Va specificato che tutto ciò che concerne le emozioni, sia quelle sgradevoli come paura o rabbia, che quelle considerate positive come sentimentalismo, euforia, eccitazione, ecc.., sono una risposta della nostra personalità condizionata. Siccome la maggior parte delle persone vive identificata con essa, da qui l’illusione di essere in relazione.
Tutti cercano di evadere la propria solitudine ed il risultato è che tutti si sentono terribilmente soli, incompresi, non visti, contrariati.
Il sintomo della solitudine negativa, cioè di quella condizione che ci spinge ad attaccarci a qualcuno esterno a noi stessi, è quel continuo senso di vuoto o insoddisfazione che nonostante i nostri sforzi permane al centro del petto. Il cuore non è pieno della sua presenza, ma coperto da falsi sentimenti. Questi spingono l’individuo a cercare una soluzione attraverso l’interazione sociale, ma essendo un falso punto di partenza porta inevitabilmente al fraintendimento.
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9. Verso la soluzione
Questo vuol dire che dobbiamo smettere di relazionarci, che dobbiamo chiuderci in noi stessi per trovare la soluzione ai problemi relazionali?
Assolutamente no, anzi: con la giusta accortezza, possiamo diventare consapevoli di quali sono le strategie usate inconsciamente per compensare, e conseguentemente trasformare l’interazione sociale in un potente alleato per avvicinarci a noi stessi.
Ci accorgeremo allora che chiudersi in se stessi può assumere molte forme: per esempio, quella di limitarsi ad interagire quel tanto che basta per non “sentire” alcunché, di fatto attivando una serie di filtri psichici e comportamentali che non permettono alla nostra vulnerabilità di essere esposta. Questa è la strategia usata più comunemente. Ma è ovvio che così facendo rinunciamo anche di essere vulnerabili a noi stessi, perciò non sentiamo la realtà della nostra presente condizione, che è il punto di partenza per rompere quei meccanismi che entrano in opera quando interagiamo.
È necessario perciò avere la volontà di interromperli. Essa si manifesta quando siamo onesti con noi stessi e riconosciamo che stiamo girando in tondo, che stiamo ricadendo nello stesso circolo vizioso. Questo fatto rappresenta l’inversione di marcia fondamentale. Quando ci si rende conto che così come sono andate le cose fino ad oggi non porta nessuna risoluzione, inizia la rivoluzione interiore che porta cambiamento.
Dopo di che si cercano gli strumenti che possono aiutarci a facilitare questa trasformazione. “Guarire le relazioni” fornisce tali strumenti. È un contenitore dove poter smascherare e smantellare quelle strategie inconsciamente assunte per fuggire dalla solitudine.
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10. Dalla mancanza alla ricchezza
Da questa esplorazione si evince che la solitudine non è un fenomeno fisico, bensì una dimensione interiore. Questo vuol dire che è possibile affrontarla con successo in compagnia di altre persone motivate dallo stesso intento. Come avviene questa magia? Avviene quando l’atro si pone davanti a noi come specchio di noi stessi, e quando noi facciamo altrettanto con l’altro.
La qualità di uno specchio è quella di riflettere le cose per quello che sono. Così nel contesto del gruppo “Guarire le Relazioni” le persone si riflettono per quello che sono, senza aggiungere o togliere niente. Senza modifiche o censure, o adeguamenti a standard sociali condivisi. Davanti ad uno specchio pulito la nostra immagine risulta fedele e veritiera, dobbiamo solo avere il coraggio e la voglia di guardarci dentro.
Questa è la relazione “vera”, scevra da proiezioni mentali, da preconcetti, aspettative, disillusione. È impossibile essere delusi dalla verità, perché essa è reale. Non ci sarà qualcosa di inaspettato nel futuro che non avevamo visto, sia di noi stessi che dell’altro.
Questa “riflessione” fedele di quello che é ci rivela la nostra solitudine, che altro non è che se non la dimensione in cui il nostro vero essere si rivela.
Scopriamo con grande sorpresa che tutto ciò che cercavamo negli altri, motivati dalla credenza di non averlo, scorre in abbondanza: noi siamo una cornucopia di ricchezze essenziali, ed è per mancanza di contatto con esse che ci siamo mossi da “casa”.
Questa scoperta porta una gioia enorme e una gran voglia di condividere. Adesso ci muoviamo verso l’altro perché trabocchiamo di cose belle e vogliamo renderne partecipi il più alto numero di persone, non importa chi essi siano.
E lo facciamo da uno spazio di completa solitudine. Questa solitudine non è la mancanza dell’altro, è la comparsa del nostro essere.
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Di Asimo Caliò Roberto ©
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