- Una pratica per l’esperienza diretta del sé
Una via per trovare la risposta
Un processo di disidentificazione
Che cosa consegui? - L’illuminazione
- Che cosa ci si porta a casa?
Essere se stessi nelle relazioni con gli altri - Charles Berner
- Testimonianze
Asimo: una visione personale
Renata: una visione personale - Intensivo di illuminazione e presenza
- Calendario
Charles Berner: creatore dell’intensivo di illuminazione
L’intensivo di illuminazione fu creato da Charles Berner (Yogesvar Muni). Egli aveva notato che molte delle persone che partecipavano ai suoi corsi di crescita personale, benché ligi alle istruzioni ricevute, alla fine di questi non progredivano o non avvenivano un cambiamenti significativi. Si rese conto che in effetti avevano partecipato senza interamente coinvolgere se stessi, ma usando la personalità. Ciò era dovuto, secondo lui, alla mancanza di contatto con la loro vera essenza. In breve, non sapevano chi veramente erano.
Dopo un periodo di riflessione, Charles Berner fu illuminato dall’idea di utilizzare il metodo di meditazione dei monaci giapponesi, chiamata Sashin, da lui praticata, in cui si indaga sulla natura essenziale da soli, ma nel contesto della diade, del lavoro a due, utilizzando la domanda “Chi sono io?” per innescare l’indagine. I risultati furono così soddisfacenti che in breve tempo il metodo si espanse non solo negli USA ma in tutto il mondo. Decine di migliaia di persone pervennero all’esperienza di se stessi attraverso questo metodo che venne accolto anche in altre scuole di crescita con piccole varianti, ma senza alterare la struttura di base.
Lo stesso avvenne nella scuola di Osho, che ne utilizzò la tecnica arricchendola con le sue meditazioni attive, e collegandola alla saggezza degli antichi Maestri Zen.
Le nostre testimonianze
Asimo: una visione personale
“Se voglio liberare lo spazio di una stanza dovrò rimuovere tutti gli oggetti che vi si trovano all’interno. Questo implica che lo spazio è già esistente. Togliere gli oggetti che vi si trovano è un’azione che non ha a che fare con lo spazio direttamente, ma attraverso questa azione, esso si rivela.
L’essere è molto più di una stanza, è uno spazio interiore vuoto la cui espansione è infinita e indefinibile, è una presenza che percepisce e che può essere autopercepita, proprio come una lampadina che può illuminare una stanza e se stessa, perché è primariamente la sorgente della luce.
In realtà non c’è niente che possa ostruire il nostro spazio interiore se non l’ identificazione con l’oggetto della nostra esperienza: idee, emozioni, stati d’animo, a cui ci attacchiamo perché in assenza di essi non sappiamo chi siamo. Abbiamo una tale paura di rimanere vuoti, che non ci siamo mai consapevolmente concessi l’opportunità di sperimentare che cosa sia. Siamo convinti che se lasciamo andare le nostre idee che definiscono chi siamo anche noi cesseremmo di esistere. Il nostro legame ad esse è così profondo.
Ma se ci concediamo di lasciarle andare, faremo l’esperienza dell’osservazione in cui non c’è niente da osservare se non l’osservazione stessa.
Durante il processo del conosci te stesso chi crediamo di essere verrà direttamente confrontato e, non avendo una base esistenziale propria, senza il sostegno della nostra identificazione non sopravviverà.
La consapevolezza è l’origine della nostra percezione; ciò che vi si manifesta, la maniera in cui l’esistenza vi si dischiude, è soggettiva e ogni individuo la sperimenterà e la descriverà in maniera personale, nuova e originale come se fosse percepita per la prima volta, perché la sua natura espressiva è inesauribile. Ciò nonostante il senso di essere a casa, di riconoscimento, la gioia della riunione a se stessi può essere condivisa.
La natura dell’essere è inclusiva; da questa prospettiva è possibile vedere che tutti gli opposti vi sono inclusi: bene e male, amore e odio, giorno e notte, tristezza e gioia, perdersi e ritrovarsi sono parte della dinamica attraverso cui la vita si manifesta con tutte le sue apparenti contraddizioni. Con gli occhi della consapevolezza tutto viene visto per quello che è, come un dato di fatto e sopratutto senza interpretazione alcuna, perché è una diretta percezione della realtà.
Può sembrare un lavoro lungo, infinito, ma non è necessariamente così. Se il nostro anelito a conoscere la verità, a ricongiungersi con noi stessi, sarà totale, allora non ci vorrà tempo. Solo la mente ha bisogno di tempo, è la dimensione in cui essa vive. L’essere è nel presente. Ascoltarsi e concentrare la propria intensità nel presente farà scomparire il tempo, perché quando saremo intensamente coinvolti, ci sarà solo lo spazio del qui e il tempo di ora. Ed in questa dimensione non ci sono proiezioni di conseguimenti futuri, o nostalgia e rimpianto per ciò che è andato, ma solo quello che c’è adesso.
In questo modo non ci vorrà tempo, ma non ci importerà neanche, perché incominceremo a renderci conto che la ricerca in sé è già come essere a casa. Infatti è lo spirito della ricerca che permette alla nostra natura originale, non solo di manifestarsi, ma di continuare a dispiegare la sua infinita multidimensionalità. C’è in ognuno di noi la voglia di tornare a casa, di tornare a essere spontanei e leggeri, pieni di gioia e serenità proprio come quando eravamo bambini; siamo solo noi che possiamo darci il permesso di concederci questo dono.
Nessun prezzo è troppo caro per questo gioiello.”
La mia esperienza personale
“Ho iniziato il cammino verso me stesso molto tempo fa; la sete di conoscere la verità e di comprendere la mia sofferenza mi ha dapprima condotto da Osho, nei cui occhi ho visto l’amore incondizionato che mi avrebbe sostenuto in questo cammino e alla cui presenza ho esperito la mia essenza più intima. La realtà percepita alla presenza di un Maestro non va confusa come una realizzazione propria, ma è un regalo, un invito ad intraprendere il cammino verso ciò che abbiamo appena assaporato.
E cosi ho iniziato il mio percorso praticando le meditazioni, partecipando a corsi, trainings, ritiri e dedicando tutta la mia vita al servizio della ricerca di sé. Molte volte ho avuto bagliori di luce interiore, espansioni di coscienza ai limiti dell’universo, stati di beatitudine che non volevo finissero mai. Il problema era che finivano accrescendo la mia sete, il mio anelito e la mia frustrazione. Non capivo come mai queste esperienze non fossero permanenti; mi mancava l’anello di congiunzione tra la mia realtà quotidiana e questi stati di percezione che rendevano la mia vita piena e appagante oltre ogni dire.
Questo anello mancante è stato l’enorme contributo del processo ora conosciuto con il nome di “Conosci te stesso”.
La prima cosa con cui ho dovuto fare i conti è stato il mio attaccamento alle esperienze di beatitudine imparando a lasciarle andare. La mia ricerca della verità fino a quel momento era in effetti una ricerca del piacere per evitare il dolore, mentre la realtà le include entrambi. Notai che qualunque esperienza, negativa o positiva, è esperita all’interno di me.
Cosi cominciai a occuparmi del contenitore, di chi sono io come individuo. La ricerca della verità aveva preso una nuova direzione: con tutte le mie buone intenzioni, la stavo cercando fuori di me ed ora ero finalmente tornato a me. Ho incominciato a non essere più distratto dalla natura delle mie esperienze, sia che fossero di piacere o di dolore: il segreto è accoglierle, viverle, passarci attraverso e lasciarle andare. Ciò che rimane è lo spazio dell’essere nella sua spontaneità. Così ogni esperienza diventa un’opportunità di espansione e il processo non si interrompe con la fine del gruppo, ma è piuttosto un inizio che non conosce fine perché ogni esperienza vissuta porta una nuova espansione e questo può essere vissuto nella propria quotidianità.
Nessun corso prima di questo è stato cosi effettivo e diretto nel dirigermi verso me stesso, al centro della mia natura umana. Il mistico indiano Kabir, dice che ogni goccia d’acqua contiene l’oceano. La mia esperienza e che, più in profondità mi lascio andare in me stesso, più i confini si allargano e questo senso di espansione ha il sapore del mare. Il punto di partenza è stato essere consapevole del centro della mia esistenza: me stesso.
Umanità e divinità sono solo terminologie esistenzialmente insignificanti, non esiste nessuna differenza. Sono entrambi aspetti dello stesso individuo.
Sono grato a coloro che hanno avuto l’ispirazione di concepire questo sistema di ricerca e sono grato a me stesso di avervi partecipato. Invito chiunque abbia voglia di conoscere la propria natura essenziale e ne senta il richiamo di concedersi questa possibilità. Non c’è niente da perdere se non l’idea di chi crediamo di essere.”
Renata: una visione personale
Cosa può esser detto della realtà ultima?
“Niente può essere detto circa la realtà ultima. Risiedendo in quello spazio, l’essere umano sperimenta il sé e le cose come pura consapevolezza che di continuo si dispiega, si rinnova, si espande, in un movimento infinito.
Percepisce tutto come intrinsecamente bello, buono e giusto. Tutto ciò che è, è e basta. Non ci sono più valutazioni, interpretazioni, giudizi da dare. Dopo esser transitati per i mille rivoli della mente, dopo aver riconosciuto e lasciato andare le mille identificazioni, si giunge all’estrema semplificazione. Tutto, semplicemente è.
Nella realtà interiore, ogni personalità viene riconosciuta per ciò che è, si scopre che tutti gli attori del dialogo interiore hanno la loro ragione soggettiva, hanno la loro collocazione, la loro ragion d’essere. Tutti sono ugualmente utili nell’economia generale della psiche, e dignitosi: nessuno più combatte e nessuno viene combattuto. Semplicemente, ognuno dice la sua e viene ugualmente ascoltato. Le parti vengono accettate.
Dopo che sono state ascoltate, non hanno più nulla da dire. Si apre lo spazio del Silenzio. Quel silenzio che abbiamo cercato, nelle meditazioni magari tentando di “spegnere la mente”: ciò non può essere forzato, ma accade spontaneamente solo dopo che ogni parte, ogni contenuto della mente, è stato ascoltato, chiarito alla luce della consapevolezza e lasciato andare.
Niente può essere detto circa l’Essere: esso va oltre le parole, è troppo semplice per essere detta a parole. Nemmeno la parola più semplice riuscirebbe a renderle giustizia.
Niente può essere detto, poiché si tratta di qualcosa di paradossale. La parola, affermando qualcosa, implicitamente escluderebbe qualcos’altro.
Niente può essere detto, ma si può spiegare perché non può essere detto. Si può parlare del fatto che non può esser detto.
Niente può esser detto, ma se ne può accendere la sete. Si può accennare, echeggiare, indicare…. Si può scrivere o leggere qualcosa che riguardi quell’ “Essere”, che ce lo renda caro, che ce lo faccia desiderare e corteggiare con passione.
A ben guardare, esso è dietro e prima e dopo ogni cosa: si cela dentro di noi fra le pieghe più impensate della personalità, dell’ego. E’ un incontro che si può fare nei posti più improbabili.”
………………………………………………………………………………………
Ulteriori approfondimenti
- Chi sono io? L’unica domanda che valga la pena porsi
- Libertà interiore
- L’illuminazione spirituale: brani e citazioni
- Risveglio spirituale
……………………………………………………………………………………
Informazioni sul corso
“L’intensivo d’illuminazione – Conosci Te stesso –” è un corso residenziale.
Per le date consulta il Calendario