Cosa fare quando “l’altro” è un problema
Le relazioni sono importanti per tutti, perché è nella natura dell’essere umano entrare in relazione e crescere attraverso di essa. La vita è relazione.
Ma che fare quando ci si trova in una relazione problematica? Che fare quando ci si trova nel bel mezzo di una dipendenza affettiva o dipendenza emotiva? Si tratta evidentemente di una modalità distorta di vivere la relazione, che provoca sia sintomi che effetti spiacevoli, e va quindi affrontata e risolta, così da riportare il giusto equilibrio fra sé e l’altro.
In questa pagina affrontiamo insieme il primo passo verso la soluzione: capire. Acquisire le giuste informazioni e iniziare a riflettere è la prima cosa da fare una volta che, sinceri con se stessi, si ammette di soffrire e si cerca di venirne a capo. Vediamo allora più da vicino che cos’è la sindrome della dipendenza affettiva, quali sono i suoi aspetti, come riconoscerla, e come uscirne.
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Dipendenza: che cos’è
La dipendenza è un fenomeno ampio, multifattoriale e dalle molteplici sfaccettature, che investe vari ambiti. Si può essere dipendenti da una persona o da più persone, da animali, e da cose. Si può essere dipendenti da situazioni in cui sono coinvolte più persone, oggetti, ambienti e abitudini.
Considerare la dipendenza affettiva – emotiva da una persona come un fenomeno slegato dal contesto più ampio della dipendenza, sarebbe riduttivo, in quanto chi dipende affettivamente da una persona, di solito ripropone lo stesso schema o atteggiamento anche in altre aree della sua vita, per esempio nel rapporto con il cibo, col proprio corpo, con la casa, il cellulare, il lavoro, ecc…. Dunque, per la soluzione del tema della dipendenza affettiva, è sicuramente d’aiuto allargare la propria visione a comprendere che cosa è dipendenza in senso lato.
Che si tratti di dipendenza da persone, da cose, da sistemi di persone e cose, il motivo conduttore è il medesimo: si cerca di tappare un buco interiore, un vuoto che non si vuole affrontare, mediante la presenza esterna di qualcosa di “consolatorio”.
Tale oggetto esterno è così investito di un enorme potere: puoi accorgerti di essere dipendente quando noti di non poter farne senza. La cosa -o la persona- da cui dipendi è diventata più importante di te. Così, tu non sei padrone di te stesso, ma schiavo di ciò da cui dipendi.
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Dipendenza affettiva: le cause
La dipendenza affettiva denota sempre una profonda carenza emotiva, una mancanza risalente all’infanzia, e che da adulti rimane impressa nel nostro bambino interiore.
La dipendenza affettiva ha origine nell’infanzia: da bambini avevamo bisogno dei genitori e ne dipendevamo completamente per la nostra sopravvivenza.
Dentro di noi stiamo ancora aspettando ciò che non abbiamo ricevuto da piccoli, e come adulti non siamo in grado di autogenerarlo, perché proprio le ferite che abbiamo subito, ci hanno fatto perdere contatto con la sorgente interiore dell’amore verso noi stessi. Ecco allora da dove scaturisce il riflesso condizionato a cercare fuori da se stessi qualche forma di appagamento sostitutivo a ciò che ci manca. Ovviamente, non si tratta di vero appagamento, ma di compensazione: ciò che il dipendente può trovare fuori di sé è una bàlia, un placebo, un surrogato, che non solo non porta soddisfazione, ma tende col tempo ad aggravare il problema.
Per approfondire, puoi visitare questa pagina: “Dipendenza affettiva: le cause“.
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Come fare a riconoscere la dipendenza
Come fare a sapere se sei dipendente?
Abbiamo stilato un test-questionario che ti aiuta a osservare te stesso nelle diverse aree della tua vita, alla scoperta dei tuoi comportamenti, per rivelare se e in quale misura il tema della dipendenza ti riguarda. Richiedicelo inviandoci una mail.
La dipendenza è un fenomeno dalle infinite gradazioni, dai molteplici abiti. Si va dal caso grave del tossicodipendente, che richiede certamente di essere affrontato nelle sedi opportune con l’aiuto di esperti, al caso lieve della dipendenza dal cioccolatino o dal caffè. Per quanto riguarda la dipendenza affettiva, si va dal caso grave della persona che tenta il suicidio perché è stata lasciata dal partner, al caso lieve della persona che assume un atteggiamento fin troppo accondiscendente e compiacente col partner, pur di accontentarlo e di rassicurare se stessa che non verrà abbandonata.
Se affrontiamo la tematica razionalmente, col giudizio, ci sembreranno casi così lontani tra loro da non poter essere accostati nella medesima riflessione. Ma qui non si vuol dare un giudizio di valore, quanto piuttosto trovare la chiave del fenomeno, un denominatore comune per un complesso di atteggiamenti, comportamenti, pensieri e abitudini, che sono più diffusi di quel che si crede.
Proviamo a mettere da parte il giudizio, proviamo a mettere da parte la paura di essere dipendenti, di aver contratto questa “brutta malattia”. Proviamo a non leggere la dipendenza come qualcosa di patologico, che si pensa colpisca gli altri ma non noi. E incominciamo a aprire il cuore a una visione più oggettiva, volta all’interno. Allora saremo in grado di accorgerci di noi stessi, di lavorare su di noi per comprendere se e come siamo dipendenti, da cosa lo siamo, e come sganciarci per guarire noi stessi.
E’ aprirsi a una visione spirituale: incominciare a prendere consapevolezza del problema, di quanto e come ci riguarda, è il primo passo per uscirne bene, arricchiti dall’esperienza e dall’autostima di essere stati in grado di trovare la soluzione e applicarla.
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Profilo del dipendente
Spesso accade che il dipendente non sappia di essere tale. Il problema può emergere in mille modi, di solito sono le relazioni interpersonali che lo rivelano: relazioni difficili, conflittuali, la tendenza a ripetere gli stessi errori, paura della solitudine, sentirsi scontenti e inappagati, ecc…, sono tutti elementi che, nel corso della vita e delle esperienze di una persona, possono spronarla a prendere consapevolezza del problema e a fare qualcosa per scioglierlo.
Quando una relazione non va bene, alla base c’è sempre un problema di dipendenza affettiva: non sai reggerti sulle tue gambe emotivamente, non sai bastare a te stesso, hai bisogni con cui non sei a contatto, e pertanto addossi all’altro la enorme responsabilità di soddisfare ciò che nemmeno tu sai individuare, né tantomeno chiedere o ricevere. Pretendi che sia l’altro a renderti felice, a capire di cosa hai bisogno e a fare qualcosa in funzione di te. Ma l’altro non può darti ciò che tu non sai dare a te stesso.
Qui sta il succo di ogni comportamento dipendente: attribuire all’altro -sia esso una persona, un animale, una cosa, un complesso di situazioni e di soggetti- la responsabilità della propria felicità o della propria infelicità. Il dipendente è convinto che ci siano cause esterne al suo star bene o star male, non si assume la responsabilità del suo stato emotivo ed energetico.
Così, è incline a lamentarsi, a dare la colpa agli altri quando qualcosa non va.
Oppure, quando è su di giri, tende a idolatrare l’oggetto o gli oggetti da cui dipende e con cui sta provvisoriamente tappando il suo buco interiore.
Così, dà via il proprio potere e la propria libertà.
Il dipendente è soggetto a sbalzi di umore, è emotivamente instabile, proprio perché non ha ancora riconosciuto in sé un polo in cui centrarsi e su cui fare affidamento per creare benessere ed equilibrio.
Vi sono anche dipendenti che hanno usato la dipendenza affettiva per attutire la sensibilità: si tratta, come diremo in seguito, del fenomeno dell’assuefazione. Per costoro, l’apparente calma interiore, che è in realtà solo una forma di disconnessione dal sentire, viene turbata quando manca l’oggetto dal quale dipendono: allora, possono precipitare in depressione, anche senza un motivo apparente. Sono talmente abituati a non riconoscere ciò che sentono, che quando si presenta l’occasione per ricominciare a sentire, non reggono l’impatto delle proprie emozioni.
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Elementi ricorrenti
Il comportamento dipendente ha alcuni elementi ricorrenti, la lettura dei quali ci darà anche una sequenza cronologica di come si instaura la dipendenza, e di come si svolge.
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-L’estroversione:
la tua attenzione, la tua energia, il tuo focus, sono rivolti all’esterno, fuori di te. Questo succede anche se tu non te ne rendi conto. Sei così scontento di te stesso, hai perduto il filo che ti connette ai tuoi veri bisogni, che sei portato a cercare fuori di te un punto di riferimento. Senza consapevolezza corporea ed emotiva, è facile orientarsi all’esterno. Ciò avviene in automatico, senza che il soggetto se ne renda conto.
Esempi:
*aprire il frigorifero e mangiare complusivamente -e in modo poco salutare- anche se non si ha fame
*chattare, messaggiare, navigare sui social network, in maniera estenuante, attribuendo valore di realtà a relazioni virtuali e coinvolgendo la propria attenzione oltre il sano limite
*assillare il partner con mille richieste, senza peraltro essere in grado di ricevere le sue attenzioni e il suo amore: ciò infatti implicherebbe fare ritorno a se stessi, cosa che il dipendente non sa fare o non è incline a fare, così è in continua pretesa e non vede quello che ha.
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-La passività
siccome alla base non sai quello che vuoi, non sai cosa stai cercando, la tua ricerca si arresta molto presto, perché ti lasci sedurre da qualcosa o qualcuno che è lì vicino a te, che è facilmente raggiungibile. Non sei disposto a lottare, ad aspettare, ad avere pazienza: tali doti infatti sono tipiche di chi sa cosa vuole. Il dipendente vuole saturare rapidamente la propria fame, non importa con che cosa o con chi.
Esempi:
*cibarsi distrattamente, senza ascoltare il corpo al fine di capire di cosa ha bisogno; buttar giù qualcosa che appaga più la fame di amore che la fame di elementi nutrizionali (meglio un panino imbottito o un dolce, che un piatto di verdure)
*nelle relazioni di coppia, prendere il primo -o la prima- che capita. Oppure, legarsi a un partner per paura di restare soli.
*Il fidanzato/la fidanzata ti ha lasciato, e tu corri immediatamente a telefonare all’amico, all’amica, organizzi uno o più incontri, per tappare il buco
*acquisti in modo distratto, ti fai sedurre dalla pubblicità, compri cose che non ti servono.
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-L’attaccamento
il non poter far senza. Ciò è evidentemente illusorio, non è vero che non si può vivere senza l’oggetto della nostra dipendenza, ma vi è un investimento emotivo inconscio a credere che sia così, e a mantenere vivo questo schema di credenza. Ciò subentra una volta che si è “sposato” l’oggetto, una volta che si è stabilito un legame con esso, legame che di solito avviene dopo aver accettato in modo acritico quello che abbiamo trovato sulla piazza del mercato, non importa se sia confacente o meno ai nostri bisogni reali.
La tua identità viene spostata sull’oggetto, ciò che hai o che credi di possedere, in realtà possiede te, ed è per te più importante di ciò che sei e di ciò che senti.
Ne deriva una resistenza al cambiamento, che è il motore della vita, dell’evoluzione, della crescita. Essendo attaccato a ciò da cui dipendo, mi creo un mio mondo, certamente illusorio perché non fondato su bisogni reali, ma a cui non sono disposto a rinunciare tanto facilmente, nemmeno per qualcosa di più autentico.
Esempi:
*Accampare delle scuse e nascondersi dietro la dipendenza affettiva. “Non posso frequentare questo bel percorso di crescita, devo badare al cane perciò non posso assentarmi da casa”.
*Ostinarsi a continuare una relazione con le stesse modalità di sempre, senza cambiamento, senza miglioramento. “Non accetto la morte di mia madre, allora mi ammalo, vado fuori di testa, oppure mi accanisco a credere che sia in vita e la trattengo in ogni modo”. “Resto con mio marito anche se mi picchia, perché ormai sono abituata, perché è il padre dei miei figli, o perché credo non ci sia altra chance, o perché sono rassegnata…”
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-La ripetitività
si generano allora comportamenti ripetitivi atti a rinforzare la dipendenza stessa, a rafforzare il legame. Questo sia perché si usa l’oggetto per tappare il buco interiore, sia perché si cerca inconsciamente di mettere a tacere la paura, più o meno avvertita, di perdere l’oggetto stesso.
Esempi:
*in una coppia, il concepimento di un nuovo figlio, qualora non sia accolto e amato, ma serva come “collante” per i partners, che, con l’arrivo del nascituro, abbandonano qualsiasi velleità di separarsi, escono dalla crisi matrimoniale, e si convincono che “E’ meglio restare insieme per il bene del bambino”. Naturalmente, essi non vedono l’impossibilità di far del bene a qualcuno, se prima non si fa il proprio bene.
*la gestualità della sigaretta
*nel lavoro: preferire la ripetizione alla creatività, ripercorrere le stesse vie anche laddove ormai obsolete, perché se ne dipende emotivamente.
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-L’abitudine o assuefazione
la dipendenza diventa un habitus, fa parte della tua routine quotidiana, al punto che non la noti nemmeno più; può essere difficile smascherare la propria dipendenza, portarla alla luce, proprio perché spesso si tende a considerarla parte di sé.
La parola assuefazione è generalmente associata alle droghe, e indica lo stato di dipendenza conclamata, in cui si manifesta costantemente l’impulso all’assunzione di quella sostanza, della quale il corpo è intossicato, e dunque non può far senza. La persona non può spezzare la catena che la tiene legata, senza l’aiuto di un esperto e il sostegno di sostanze di uscita dalla dipendenza.
Ma si può essere assuefatti a una persona, infatuati al punto da fare gesti inconsulti pur di non perderla. Si può essere assuefatti a un lavoro che non ci piace, tanto da respingere proposte migliori, senza sapere il perché.
Esempi:
*”Ho ritmi di lavoro allucinanti, lavoro 20 ore al giorno, ma sono così assuefatto da non sentire più la fatica, la stanchezza, e in fondo mi va bene così perché ho una scusa per non occuparmi di me stesso e per non relazionarmi agli altri”
*”Non riesco a smettere di fumare e non ne vedo nemmeno la necessità. Mi autoconvinco che il fumo non fa così male”
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-L’escalation
le dipendenze sono come le ciliegie, una tira l’altra. Poiché niente e nessuno, fuori da te stesso, riuscirà mai a riempire il vuoto interiore, succede che la ricerca di un oggetto di conforto non finisce mai; essendo completamente illusoria, tende a crescere, ad essere proiettata su ulteriori beni/persone/situazioni, in un’escalation infinita.
Un esempio eclatante si può vedere nelle droghe: perché facciano effetto, bisogna sempre aumentare la dose. E non vale solo per le sostanze stupefacenti, che sono un caso-limite di dipendenza, ma per tutto ciò che si insinua nella nostra vita e che, iniziando con la falsa promessa di maggior benessere, finisce col possederci, ci tiene in pugno, e noi finiamo per esserne schiavi. L’industria del consumismo conosce molto bene questo meccanismo, e lo sfrutta per fini di lucro che sono sotto gli occhi di tutti.
Quando finisce questa catena? Può andare avanti per sempre, a meno che tu, in un lampo di consapevolezza, te ne accorga e decida di porvi fine lavorando su te stesso! In alcuni casi, ci pensa la vita a darti uno “stop”, e lo fa in vario modo: con una malattia, un lutto… ti porta un cambiamento, una discontinuità, per farti riflettere e magari cambiare rotta.
Esempi:
*”Ho cambiato macchina e già ho messo gli occhi sulla prossima che a breve comprerò, non che ne abbia bisogno, ma voglio togliermi lo sfizio finché sono in tempo”
*”Ho comprato un bel vestito rosso e siccome mi piace, ne vado subito a comprare uno uguale rosa”
*”Non riesco a non tradire il mio/la mia partner e ad avere frequenti incontri con partner occasionali”
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La dipendenza da cose
Fra i modi più diffusi di cercare una compensazione a ciò che ci manca, vi è la dipendenza da sostanze assunte per bocca o comunque immesse nel circuito psico-fisico-energetico del corpo, e che momentaneamente leniscono, o tappano del tutto, la sensazione di mancanza. Non essendo questa la sede opportuna per addentrarci a trattare in modo approfondito questo tipo di dipendenze, ne facciamo cenno solo per mostrare come tutte le forme di dipendenza, apparentemente distanti tra loro, siano di fatto manifestazioni diverse di un unico fenomeno: il cercare in modo malsano fuori di se qualcosa che ci nutra a livello profondo, che ci appaghi e che dia un senso alla nostra vita. La gravità o meno della manifestazione dipenderà da quanto è ampio il buco interiore che si pretende di riempire, da quanto è profondo il disagio che si vuol sedare.
Tra le più comuni forme di dipendenza da cose o sostanze:
- -tabagismo
- -alcoolismo
- -tossicodipendenza
Qui ci soffermiamo sulla:
-dipendenza dal cibo
E’ tra le forme più diffuse di dipendenza, e riguarda tutta la vasta gamma di comportamenti errati riguardanti il cibo: non si da al corpo ciò di cui ha realmente bisogno per svolgere le sue funzioni fisiologiche e per godere di buona salute, perché si è perduta la capacità di ascoltare che cosa vuole, che cosa chiede; e allora, si butta giù qualcosa per tappare il buco della fame, non solo della fame fisica, ma di quella emotiva-affettiva. L’industria dei cibi-spazzatura fa leva proprio su questa compulsione, proponendoci alimenti malsani e nutrizionalmente poveri, presentati con etichetta allettante, ricca di slogan e di colori, così da parlare proprio a quel “buco interiore” che aspetta di ricevere un “contentino” per sedarsi un po’.
Purtroppo l’odierna contaminazione dei prodotti, la contraffazione, l’impoverimento e il degrado nutrizionale dei cibi “ricchi”, non fanno altro che incentivare la dipendenza dal cibo, in quanto un organismo mancante delle sostanze-base per la vita (come vitamine e minerali, sempre più scarsi sulle nostre tavole), non farà che riflettersi, a livello psicologico, in un aumento della fame nervosa, con conseguenti scelte sbagliate e danno per la salute.
Le sempre più diffuse intolleranze e allergie alimentari rientrano nel quadro di tali atteggiamenti di dipendenza: generalmente, si dipende proprio dall’alimento a cui si è intolleranti, poiché, avendolo assunto per lungo tempo quotidianamente per tappare il proprio buco emotivo, ad un certo punto il corpo -che come sappiamo non mente mai e possiede una sua naturale saggezza- ci dice stop, lo rigetta. Con l’intolleranza, ci segnala che non ne può più, che ha bisogno di altro per riportarsi in equilibrio.
-dipendenza da oggetti di conforto vari, quali: abiti, automobili, cellulari, trucchi, ecc….
Diffusissima e in continuo aumento è la dipendenza da cellulari, smartphone, ipad. Per dipendenza si intende l’uso smodato, continuativo, che va decisamente oltre il bisogno reale. La soglia d’allarme scatta quando non sei più tu che usi il cellulare, ma è lui che usa te; non riesci a spegnerlo e a dire “basta”.
Tu sei debole a causa del tuo buco emotivo, dunque l’industria telematica dei social network ha in serbo per te una vastissima gamma di prodotti di consumo, che da utili mezzi di comunicazione e di informazione, diventano “cibo virtuale” per la tua attenzione, che può così essere distolta momentaneamente dal buco interiore, ed essere catturata dalla miriade di stimoli e di vetrine presenti sul web.
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Dipendenza affettiva da una o più persone
La dipendenza affettiva è una condizione di ripetuto trasferimento della propria energia su un’altra persona, che viene erroneamente ritenuta la sorgente della propria felicità, delle proprie emozioni o stati d’animo, così come della propria infelicità o sventura.
Si può dipendere affettivamente da una persona, o da un gruppo di persone.
Il triangolo di Karpmann
Il fenomeno è stato studiato da Karpmann, che ha elaborato il modello base del triangolo drammatico. Il dramma della co-dipendenza si svolge tra tre elementi o ruoli: vittima, carnefice e salvatore.
In una relazione di dipendenza affettiva tra due persone, uno dei due assume il ruolo di vittima, l’altro di carnefice. La relazione, che è il terzo elemento, è il salvatore; lo si comprende considerando che la vittima vuole esser vittima, il carnefice vuole essere carnefice. Sin da piccoli, per via delle vicende che hanno segnato la loro infanzia, essi sono stati programmati a giocare quei ruoli nelle relazioni: hanno respirato quell’atmosfera nella famiglia d’origine, quella conoscono, non sanno altro, e così si comportano secondo quel copione, non conoscono l’amore incondizionato.
Chi ha la tendenza inconscia a rivestire il ruolo della vittima, attrarrà sempre un carnefice, e viceversa. La vittima vibra dell’energia della vittima, tutto l’insieme delle sue forme-pensiero, atteggiamenti, stili di relazione, è animata da quel modello. Perciò non può che attrarre un carnefice, ossia un partner che confermi l’immagine che la vittima ha di sé.
E analogamente un carnefice non può che attrarre una vittima.
In questo contesto, la relazione è il salvatore, perché consente appunto ai due di stare insieme, di attrarsi in base alla loro complementarietà.
In una coppia così, i ruoli di vittima e carnefice sono intercambiabili: in alcune situazioni A sarà la vittima e B il carnefice, in altre accadrà il contrario, B sarà la vittima e A il carnefice.
Esempi:
- *Il marito è carnefice nell’avere in mano le finanze di casa e nel dare alla moglie scarsa disponibilità di denaro, la moglie è carnefice nel negarsi a letto.
- *Al lavoro, il capo è carnefice nel far subire a un subalterno pressioni psicologiche e/o sfruttamento, il subalterno è carnefice nel fare assenteismo sapendo di non poter essere licenziato.
Nel momento in cui uno dei due esce dal ruolo, perché diventa consapevole e fa un salto emancipandosi dalla dipendenza affettiva, i casi sono due: o anche l’altro si risveglia e modifica il proprio modo di porsi, oppure la relazione si rompe e ognuno va per la sua strada.
Non è compatibile che due si relazionino parlando due lingue diverse, uno quella dell’amore incondizionato e della libertà, e l’altro quella del compromesso, dell’inganno, della manipolazione.
Codipendenza
Dove c’è relazione di dipendenza affettiva, si tratta sempre di codipendenza: A dipende da B, e B dipende da A. Il carnefice dipende dalla vittima, e la vittima dipende dal carnefice. Come potrebbe infatti la vittima essere tale senza l’apporto del carnefice? E come potrebbe il carnefice essere tale senza la vittima? Sarebbe impossibile. Nel momento in cui il carnefice cambia, esce dal triangolo drammatico, diventa consapevole e comprende cos’è l’amore vero, la vittima non può più fare la vittima perché non ha accanto a sé chi sta al suo gioco. E se è la vittima a svegliarsi, a cominciare a volersi bene, il carnefice non ha più vicino a sé qualcuno su cui sfogarsi; se vuole continuare a fare il violento, a prevaricare, deve cambiare aria e trovare un nuovo complice.
Queste considerazioni valgono per tutte le relazioni: di coppia, di amicizia, di lavoro, di famiglia, ecc….. Le leggi sono le stesse, cambiano semplicemente i contesti.
Tra tutte le relazioni, quella di coppia è la più stretta, la più intima, e di conseguenza quella in cui ci si mette maggiormente in gioco e si hanno più possibilità di veder rivelati i problemi. Ecco perché oggigiorno molti preferiscono restare single, non impegnarsi in una relazione assidua, per non confrontare certi aspetti di sé. Molti altri si illudono che, cambiando partner, si risolva il problema, ma non è così: la soluzione al problema della codipendenza, e ai sotto-problemi ad essa legati, può solo scaturire da dentro di noi, allora darà luogo alla scelta giusta.
Chi si accorge di stare in una relazione intima di codipendenza, ha in mano un’occasione formidabile: ha la chance di confrontarsi con quegli aspetti di sé che lo intrappolano nelle relazioni, e di uscire dalla triangolazione negativa. Forse ciò significherà la rottura di quella relazione, ma non è detto: ricordiamoci che uno dei sintomi della dipendenza è la resistenza al cambiamento, e che in ogni caso se persegui il tuo bene non puoi andare incontro a qualcosa di sbagliato per te! Sia che in seguito alla tua guarigione il tuo partner venga coinvolto e decida di cambiare per se stesso, sia che no, sia che scegliate di restare insieme, sia che le vostre strade si separino, in ogni caso la tua guarigione ti porterà nuovi sviluppi positivi. Forse attirerai nuove persone, più adatte a te, perché vibranti non più nell’energia bassa della dipendenza, ma in quella dell’amore incondizionato, che porta a vivere con gioia e celebrazione ogni istante passato insieme.
Va detto infine che quella del triangolo di Karpmann è una schematizzazione che ha lo scopo didattico di farci comprendere come funziona la codipendenza, ma nella nostra vita di esseri umani in cammino verso l’amore, siamo tutti irretiti in una rete di triangoli di dipendenza, alcuni più stretti, altri più larghi. Non viviamo solo una relazione di dipendenza, ma molte. Triangoli che si intersecano, e che formano altri triangoli….. Possiamo vederlo ogni volta che parliamo con qualcuno, di qualcun altro: A parla con B, e l’argomento è C. Oppure, sei in casa da solo, vorresti rilassarti e gustarti la tua cenetta, e ti torna in mente Tizio, così non sei presente al tuo momento con te stesso, ma pensi e rimugini….la mente chiacchierona ti sta riportando qualcosa che in quella relazione non si è chiarito.
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Guarire le relazioni: come fare
Per tutti i motivi suddetti, si conclude che guarire le relazioni è un passaggio importante nella crescita personale.
Individuare i triangoli di codipendenza in cui siamo coinvolti, e lavorare su di sé per prendere consapevolezza e incominciare a relazionarci con un’energia nuova, improntata al rispetto di sé e dell’altro, all’amore e alla libertà, è un’impresa non da poco, ma è possibilissima. Molti ricercatori del vero l’hanno percorsa con successo. Essa è una tappa fondamentale tanto per la persona che vuole semplicemente vivere in armonia ed essere serena, quanto per chi sente l’anelito al risveglio, all’illuminazione spirituale.
In successive pagine (vedi link elencati in fondo a questa pag.) vi illustreremo dettagliatamente come uscire dalla dipendenza, in passi concreti applicabili fin da subito.
Nel corso intensivo esperienziale “Guarire le relazioni” ci occupiamo di diventare consapevoli di cosa è dipendenza, di comprendere in che modo giochiamo i ruoli dipendenti nelle relazioni, e portiamo guarigione aprendoci all’amore per se stessi.
Dopo aver sistemato la relazione con te stesso, scopri che non è l’altro che ti fa felice, ma sei tu che, percorrendo la via dell’amore incondizionato, trovi il tuo modo di essere felice con l’altro.
di dott.ssa Renata Rosa Dwija Ughini
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Per approfondire:
“Dipendenza affettiva: i sintomi”