L’ira è il naturale seguito alla superbia, come ultimo vizio capitale, perché è il sentimento che meglio descrive il modo spesso usato dal superbo per difendere i suoi confini.
Ma l’iracondo non è necessariamente superbo.
L’ira nella sua accezione più negativa, è la reiterata tendenza a rispondere con esplosioni di rabbia a situazioni in cui ci si sente impotenti.
Diventa un “vizio” quando non si riesce più ad uscire da questa modalità di risposta, che diventa perciò cronica.
In altre parole l’iracondo non si sente a suo agio finché non scarica la sua eccessiva energia su qualcuno o danneggiando qualcosa, accumulata o dal giudizio compulsivo che cova nei confronti della vita e perciò di persone e cose, o dalla sensazione di sentirsi messo in un angolo, sia a livello psicologico che per la sua sopravvivenza.
Se per esempio, un individuo viene “scoperto”, cioè quando un aspetto della sua personalità di cui egli non va fiero, viene esposto e reso pubblico, può ricorrere all’ira come uno stratagemma per cercare di spaventare coloro che lo hanno screditato, e per cui si sente sputtanato, e per affermare le sue ragioni urlando molto forte. In effetti il suo tentativo è di sviare l’attenzione da se stesso e dal tema di cui si vergogna e di cui non vuole ammettere la veridicità.
In questi casi bisogna stare attenti perché l’iracondo potrebbe scagliarsi contro il responsabile facendo uso del corpo o di un corpo contundente per esprimere la sua ira, se è molto identificato culturalmente.
In diverse parti del mondo una risposta iraconda viene apprezzata e interpretata come dignitosa. Ma qui siamo ad un livello di consapevolezza individuale molto grezzo, direi tribale. Ciò non toglie che esiste e in un modo sottile influenza altri umani non sufficientemente coscienti, ad agire allo stesso modo.
Non è raro che dopo l’esplosione l’iracondo si senta in colpa per questo suo comportamento; così facendo egli sta di fatto ritorcendo l’ira verso se stesso. Ma se è sostenuto da un contesto culturale si sentirà fiero.
Cercare di aiutarlo fuori da questo loop è pericoloso, perché non solo non si fida degli altri ma si sente umiliato. Per questo motivo se apparentemente lo fa, entra in un gancio emotivo con il salvatore che diventa il bersaglio della sua prossima sfuriata, non appena scopre un punto debole dove colpire.
L’ira che viene sfoderata perché si è indignati da un’ingiustizia, anche se motivata da buoni propositi, è sempre e comunque un segnale di impotenza e debolezza, perché raramente è seguita da un’azione pertinente. Di fatto un’azione di questo tipo canalizzerebbe la rabbia in qualcosa di utile.
Invece rimane uno sfogo, che una volta esauritosi viene seguito da una sorta di disinteresse e rassegnazione, o dalla consolazione di aver detto la propria.
O ancora peggio da una forma di rabbia verso se stessi per non aver avuto il coraggio o la chiarezza di agire in modo efficace.
L’ira esternata è facile da vedere, perché è attiva: minacce, esplosività, bullismo, violenza fisica, ecc…
Più difficile è riconoscere l’ira passiva perché subisce un’ulteriore distorsione; in pratica diventa ostilità, risentimento, freddo odio.
Le manifestazioni sono sottrarsi al contatto voltando le spalle agli altri repentinamente, tenere il muso alzando una barriera che respinge la “vittima”, esibire sorrisi falsi per coprire l’ostilità, essere indifferenti, distaccati e molto altro.
Oppure si tende a scusarsi eccessivamente, a mostrare una gentilezza spropositata, facendo autocritica fino ad umiliarsi.
Un’altra manifestazione è spettegolare su chi non è presente, minacciare tra le righe che in altre parole significa essere indirettamente malevoli.
Proprio per il mascheramento, questo modo di esprimere l’ira è più velenoso e colpisce in profondità. Una persona che sbotta rivela i suoi sentimenti e ci si può proteggere, ma colui che agisce in modo subdolo non è immediatamente riconoscibile, perciò a meno che non siamo abbastanza svegli da riconoscere le sue reali intenzioni non ci rendiamo conto di essere sotto attacco.
Il problema è che non vediamo queste strategie della personalità in noi stessi, perciò non le riconosciamo negli altri.
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