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INGORDIGIA: INSAZIABILITA’ E BRAMOSIA ORALE

16 Febbraio 2023 by Renata e Asimo Leave a Comment

PIZZA

“Un pozzo senza fondo”

Ecco descritta in poche parole la sostanza del vizio dell’ingordigia.

Un’insaziabile bramosia o smania di qualcosa,

nel tentativo vano di riempire il vuoto interiore.

La forma più evidente e diffusa di ingordigia è quella per il cibo.

Ma si può essere avidi di soldi, di potere, di possesso, ecc…

Alla radice c’è una voragine incolmabile, una sorta di buco nero che tutto inghiotte.

Più ci si rimpinza e più si nutre la cupidigia stessa di introdurre di più.

Come sanare tale compulsione? Non certo continuando nel circolo vizioso,

ma diventando consapevoli dell’origine del disagio e sciogliendo ciò che ne è alla base.

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Il vizio della gola

E’ un insaziabile compulsione che spinge a ingurgitare, a buttare dentro, a inghiottire. Non si tratta di “fame”, tutt’altro. L’ingordo non si rende conto di non sentire nemmeno l’appetito autentico. Non introduce cibo perché il suo corpo glielo chiede, ma per cercare di compensare qualcosa che gli manca dentro. Così facendo non sente la fame, perché mangia prima che essa si presenti, anestetizzando sia il naturale richiamo del corpo a nutrirsi, sia il sentire in senso lato.

Talvolta il goloso sceglie certi cibi piuttosto che altri, ma più spesso non ha particolari predilezioni, o le ha per ciò che almeno momentaneamente gli dà un senso di sazietà e riempimento. La sua è una bramosia quantitativa, a differenza della lussuria, che è una spasmodica ricerca qualitativa. I due vizi sono accomunati dalla mancanza di contatto autentico con i sensi.

La ghiottoneria incontrollata è una forma di violenza verso il proprio corpo e se stessi. L’essere ingordo è il tentativo disperato di riempire il vuoto interiore, di calmare l’ansia e l’irrequietezza che ne scaturirebbero; in altre parole è una forma di ottundimento finalizzata a non sentire.

L’ingordigia è uno squilibrio del 5′ chakra. Coinvolge la bocca e la gola.  Ha a che fare anche col 1′, interessando il tema del cibo.

La bulimia è una forma patologica di ingordigia. Paradossalmente, lo è anche l’anoressia. Infatti spesso i due disturbi alimentari si alternano o sono coesistenti. Il rigetto del cibo è ingordigia repressa, che viene temuta e sostituita col suo opposto, così la persona può illudersi di sentirsi a posto. In ambedue i casi, il rapporto col cibo è falsato perché esso non è vissuto come un atto di nutrizione consapevole, ma come un mezzo per anestetizzare emozioni e sensazioni.

Una forma di ingordigia moderna e particolarmente pericolosa e diffusa è quella per i farmaci, che vengono buttati giù sconsideratamente. Così anche il tabagismo e l’alcolismo.

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Volere di più

In senso lato, l’ingordigia è la brama di avere al di là di ciò che è necessario. Essa non si limita al cibo, alle bevande o a tutto ciò che può essere assunto oralmente: è di base la compulsione ad arraffare qualsiasi cosa, fisica e non. La cupidigia può essere rivolta a possedimenti, alla posizione sociale, alla carriera…

Mentre l’invidioso vorrebbe togliere agli altri ma non agisce, l’ingordo vuole continuare a prendere per se stesso. Ma va da sé che per avere più di quello che gli è necessario l’ingordo sottrae agli altri, anche se indirettamente, semplicemente perché lo vede o perché ne viene al corrente. Quello che appartiene ad un altro attiva l’impulso a impossessarsene; quando ci riesce, si illude di ristabilire il senso di ciò che egli intende come giustizia.

L’ingordo trattiene tutto per sé; la sua ricchezza viene ottenuta a discapito degli altri, è uno sfruttatore e in casi estremi non si fa scrupolo persino di rubare o uccidere se serve il suo scopo.

Qui vi è una sottile distinzione tra l’ingordigia e la motivazione che spinge al miglioramento personale nei vari ambiti della vita. La prima è compulsiva e non consente di godere dei risultati, perché non appena si raggiungono, scatta di nuovo la brama a volere di più. La seconda invece parte da un movimento del cuore verso ciò che possiamo esprimere di noi stessi, per appagare dei bisogni reali, connessi a noi stessi. Il conseguimento di un obiettivo ci darà appagamento, la soddisfazione personale di aver raggiunto qualcosa che contribuisce al nostro bene.

L’avidità può anche essere di tipo “spirituale”, quando è rivolta ad esperienze esoteriche, pseudo-mistiche, che vengono ricercate allo scopo di coprire il vuoto interiore anziché affrontarlo e risolverlo.

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Ingordigia e consumismo odierno

L’odierno sistema consumistico ha bisogno di persone ingorde, e fa di tutto perché esse vogliano e consumino più di quello che serve loro, e molto spesso più di quello che si possono permettere. 

Senza un’orda di ingordi il sistema crollerebbe, perciò esso si adopera instancabilmente a promuovere l’avidità, a incoraggiare il disfarsi degli oggetti piuttosto che riciclarli, a nutrire l’illusione che se non ci procuriamo le cose che vengono reclamizzate siamo carenti e non al passo con il collettivo e le sue mode.

Aderendo al modello consumistico si cerca una sorta di approvazione da un’autorità che proiettiamo sulla società e che di conseguenza esiste solo nella nostra mente. 

L’umanità nell’insieme, in questo momento storico, sta consumando più di quanto il pianeta riesca a fornire. È stato calcolato che ci vorrebbero due pianeti come la Terra per tenere il passo con la velocità con cui le risorse naturali vengono depredate.  Ma senza un’inversione di rotta, in un non lontano futuro quanti altri pianeti ci vorranno per soddisfare l’ingordigia umana?

Ne è un’esempio l’industria delle armi: vengono provocate guerre che servono per vendere armamenti e per coloro che le fomentano, più conflitti ci sono meglio è, così la loro ricchezza economica e il potere di manipolare per accrescerla aumentano.

L’ingordigia e di conseguenza l’impulso ad espandere la propria influenza per poterla soddisfare, è cronica nella maggioranza di individui che sono al potere politico e religioso, siano essi noti al grande pubblico, sia che operino dietro le quinte come banchieri, faccendieri, massoni o mafiosi. 

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Ingordigia e società

L’ingordigia viene tramandata in famiglia, specialmente quando questa possiede molto. Affinché il patrimonio venga preservato, i figli devono imparare come fare. Sin da bambini vengono educati con il preciso scopo di servire l’azienda di famiglia, senza riguardo per la loro individualità. E’ una rarità che un tale training non sfoci nell’ingordigia quando saranno adulti.

Tornando al cibo, ci sono ingordi o famiglie di ingordi che fanno i cuochi di professione. È un buon modo per tenere la bocca e le papille gustative sempre impegnate e con una buona motivazione. Non sto dicendo che tutti i cuochi sono ingordi. Alcuni sono lussuriosi, prediligono i gusti intensi, ricercati e presentati in modo esotico e raffinato anche se spesso risultano malsani. L’ingordo invece abbonderà nella porzioni, nei sughi, nei grassi.

In generale tra le gente vi sono forme di ingordigia estreme ed altre che sono considerate normali in base alla cultura in cui si vive.

Nel nostro meridione le ragazze mantengono un aspetto aggraziato fino ai 12-13 anni, dopo di che incominciano a dilatarsi, acquistando peso e rotondità. È ciò è considerato normale. Infatti circola il luogo comune che la donna secca non piace e che se non mangia tende facilmente ad ammalarsi. Per gli uomini è la stessa cosa. Viene considerato normale avere problemi di salute al punto da essere ospedalizzati già dopo i quaranta, “perché le malattie ci sono”. Pur di mantenere l’ingordigia al suo posto è buona pratica mentire a se stessi.

Negli ultimi decenni le cose stanno cambiando un po’, ma non di molto, non per la maggioranza. Per gli italiani in generale, sedersi a tavola vuol dire indulgere nell’assunzione di cibo, dal nord al sud. Ho parlato del sud perché vengo da lì e queste cose le ho sperimentate di persona. Quando pensavo di aver fatto un buon pasto e di aver finito di mangiare, mi rendevo conto che i commensali erano solo agli antipasti.

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Origini dell’ingordigia: il complesso orale

L’origine dell’ingordigia è il complesso orale, che si instaura in tenera età, formandosi dalla nascita ai primi anni di vita. L’allattamento e successivamente lo svezzamento sono fasi delicate, che sovente vengono vissute in modo problematico sia dalla madre che dal bambino. Ecco qualche esempio:

  • Allattamento artificiale e conseguente mancanza di contatto col seno materno
  • Allattamento al seno non accompagnato dall’effettiva presenza della madre, che è a sua volta anestetizzata, chiusa o riluttante.
  • Problemi di salute della madre, costretta dunque ad allontanarsi dal bambino che si sente così abbandonato
  • Madre apprensiva che forza il bambino ad assumere cibo, prevenendo la sua naturale richiesta, e conseguente anestetizzazione del senso della fame
  • Mancanza di cibo a sufficienza e conseguente paura di non farcela a sopravvivere

In seguito a tali eventi, si resta fissati alla fase di sviluppo non superata. Abbiamo parlato, in altri articoli di questo sito, delle cinque ferite. L’ingordigia sembra maggiormente collegata alla ferita d’abbandono, che forma il carattere orale o dipendente, anche se può interessare pure le altre quattro tipologie di personalità.

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Verso la consapevolezza

Per quanto tutto ciò che è stato detto fin ora possa sembrare estremo, non lo è.

L’ingordigia patologica è difficile da riconoscere e da risanare, in quanto il soggetto interessato ne è completamente identificato. Necessita di supporto anche medico per iniziare ad alleviare il disturbo. Alcuni disturbi alimentari possono essere curati solo nelle cliniche specializzate.

L’ingordigia lieve invece ci tocca tutti. Magari non siamo sempre ingordi, ma qualche volta sì. 

Ecco qualche esempio di ingordigia alimentare:

  • Non riuscire a seguire una dieta sana perché si è assuefatti a certi cibi che si sa che non sono adatti a nutrire il nostro corpo in modo ottimale, ma non si riesce a farne a meno.
  • Mettere in bocca compulsivamente qualcosa quando si è stressati.
  • Mangiare prima di sentire che il corpo lo chiede.
  • Buttare giù cibo frettolosamente senza masticare e senza assaporare.
  • Fare pasti pesanti che tagliano l’energia, abbinando gli alimenti in modo scorretto.
  • Non riuscire a smettere di fumare o di bere alcool o bibite in gran quantità.
  • Passare dal digiuno all’abbuffata.

Qualche esempio di avidità per beni materiali:

  • Vi sarà capitato di sperimentare di avere una quantità di denaro che vi permette di vivere dignitosamente, ma di iniziare a pensare che sarebbe meglio averne di più.
  • O di avere un’auto che fa il suo servizio, ma di desiderarne una migliore e più grande, visto che molti altri se la permettono. E allora potreste pensare: “Se loro ce l’hanno e io no, vuol dire che non mi sto dando da fare abbastanza o che non sto cogliendo qualche opportunità”. O ancora, credo di volerla per altre ragioni che mi racconto, ma in verità inconsciamente faccio di tutto pur di averla perché mi sento estromesso dal gruppo se non ce l’ho anch’io. Idem per lo smartphone…

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Coltivare la virtù opposta

Quali sono le virtù che possiamo coltivare per placare l’ingordigia?

Frugalità. Si tratta di un atteggiamento di moderazione nel rapporto col cibo e più in generale nella relazione con ciò che può suscitare avidità. Ecco qualche esempio:

Frugalità nel cibo:

  • Mangiare solo quando si sente la fame autentica, quella che proviene dalla naturale richiesta del corpo
  • Scegliere una dieta sana ed equilibrata
  • Attenersi ai pasti
  • Smettere di mangiare quando c’è ancora un posticino vuoto nello stomaco

Frugalità nel possedere:

  • Definire priorità sulla base di bisogni effettivi
  • Perseguire ciò che è utile
  • Riciclare e reinventare gli oggetti

Come raggiungere la frugalità? Non si tratta di reprimere l’ingordigia, imponendo a se stessi una condotta basata su un ideale, scollegata dal sentire. Ciò impedisce la guarigione e indirettamente va a rintuzzare la bramosia stessa, che alla prima occasione verrà fuori peggio di prima. E’ necessaria una chiara percezione di quelle che sono le nostre reali necessità per non cadere nella rete dell’avidità, perché gli input in tal senso arrivano da tutte le parti e, anche se in maniera sottile, essa ci tocca tutti.

La domanda-chiave è: “Di cosa ho veramente bisogno?” Riconoscere i bisogni reali ci indica qual è la giusta misura. Tale riconoscimento può solo venire dall’ascolto del corpo, e la meditazione serve a questo: entrare in contatto con la nostra energia, partendo dal corpo.

Ciò ci conduce a definire le giuste priorità.

Diventiamo così consapevoli della distinzione tra l’espansione della propria energia e benessere e la bramosia di avere di più. Nel primo caso c’è condivisione, fluidità, generosità. Infatti colui che trabocca di energia e benessere, promuove progetti e coinvolge gli altri che saranno a loro volta beneficiati e stimolati ad accrescere il loro. Riconoscere di cosa si ha bisogno veramente è il primo passo per ottenerlo grazie alla propria creatività.

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Il buco essenziale: la mancanza di appagamento orale

In tenera età il bisogno di nutrirsi è fondamentale: la sopravvivenza stessa dell’infante dipende dalla poppata, dall’accudimento materno. Il piccolo è delicato e vulnerabile, e se tali cure non arrivano nel modo giusto, col ritmo giusto, si crea una disarmonia che successivamente segna il rapporto col cibo e con tutto ciò che, da adulti, costituisce la base della sopravvivenza.

Insieme all’alimentazione, la mamma dà o nega al bambino il proprio amore, in termini di presenza fisica, emotiva, energetica. Con il latte e le pappe dovrebbero essere veicolate energie importanti: l’amore, il contatto, la fusione, l’ascolto, la sollecitudine, la fiducia. Ma la madre non può dare gli aspetti essenziali con cui lei stessa non è a contatto.

Così il bambino non supera la fase orale e crescendo resterà fissato lì. L’adulto avrà dentro di sé un bambino interiore terrorizzato. Per non sentire quel panico ecco che scatta il meccanismo di difesa dell’ingordigia.

Se invece di cadere nell’automatismo ci permettiamo di stare con la sensazione sgradevole nel momento in cui essa si presenta, stiamo facendo il primo passo verso l’ auto guarigione. Esercitare la virtù opposta non è semplicemente sostituire un comportamento autolesionista con un altro più rispettoso. Se la disciplina è accompagnata dal sentire, dalla presenza, si spiana la via al decondizionamento. Ciò accade quando ci rendiamo conto che sentire l’ansia, la paura, il disagio, è più autentico che cercare di anestetizzarli. Percepirli ci fornisce la chiave per riavvolgere a ritroso la pellicola dell’ego.

Il buco è l’imbocco del tunnel che conduce dalla vacuità del vizio alla corrispondente qualità essenziale che è stata persa e sostituita con la finzione della personalità, fatta di schemi di compensazione. Percorrere quella galleria buia e attraversarla fino in fondo è un atto di coraggio che verrà premiato. Dall’altra parte infatti ci attende l’aspetto essenziale che non è mai stato perduto, perché fa parte di chi siamo. E’ solo stato offuscato dal trauma.

Il vizio dell’ingordigia copre la paura di non farcela a sopravvivere, lontani come siamo dalle sfaccettature importanti dell’Essenza: l’amore, la fiducia. Trasformando il trauma alla radice del complesso orale, il buco si riempirà da dentro con il fluire dell’energia, rendendoci nuovamente accessibile quella fiducia di base nella vita e in noi stessi che è tra gli aspetti fondamentali dell’Essere.

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Di Renata Rosa Ughini e Asimo Caliò Roberto

Copyright 2023 tutti i diritti riservati

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